martedì 16 marzo 2010

In ordine di apparizione... màs o meno.

Bjorne, Ivo, Rossana, Silvana, Paola, Anna, Esmeralda, Emilio, Omar, Ana, Marisa, Tomas, Ana, Fabio, Mou, Andrew, Gonzalo, Juan, Pablo, Madruguita, Leo, Patricia, Anita, Paula, Oscar, Flavia, Dante, Pablo, Vanessa, Marcio, Vincent, Marie, Rosaline, Victoria, Martin, Manuel, Maribel, Marcos, Eva, Jerome, Alejandro, Marcelo, Aurore, Fernando, Bruno, Elisa, Miguel, Facundo,


David, Nancy, Adrian, Ines, Giovanni, Jeremia, Lucia, Marisa, Mariana, Nico, Ivan, David,Antolek, Meryl, Thomas, Gleice, Adriana, Mariajose, Gisela, Ricardo, Matteo, Claudia, Angelica, Miguel, Francesco, Alessandro, Mika, Ildebrando, Naha, Elisa, Maximiliano, Miguel, Diego, Adrian, Andrea, el Flaco, Santiago, Daniela, Santiago, Marta, Betania, Maialem, Ayelem, Isa, Ruki, Gabriel, Rosa, Mara, Nuria, Carlos, Nati, Ezequiel, Karina, el Gringo, Judith, Pepe, Rosaluz, Tiziana, Pollo, David, Don Creciencio, Teresa, Mercedes, Odorico, Catalina, Don Casimiro, Edoardo, Pedrito, Marta, Iloy, Don Ferdinando, Don Felipe y su mujer, Don Floro, Don Juan Cancio,



Don Juan Diaz, Cristina, Emilio, Antonia, Santolino, Gaby, Diego, Matia, Beatrice, Tania, el Nano, Valenchu, Fernando, Maximiliano, tia Selva, Josy, Martin, Alejandra, el Vasko, Angel, Juan Pablo, Cristina, Cristina, Irene, Irene, Jeremia, Anna, Elisa, Carlo, Jenny, Pablo, Virginia, Ivonne, Josè, Melissa, Sam, Jasmin, Beth, Marisa, Mariela, Jessi, Mike, Jeremy, Luis, Tom, Javier, Simona, Peter, Josè Navarro, Martin, Loay, Anan, Ruth, Costancia, Jeremia, Richard,

John, Jessica, Maria, Felipe, Margarita, Danilo, Sebastian, Giovanni, Alberto, Lukas, Susana, Christian, Wilfrid, Clair, Giannina, Flavio, Silvia, Sandra, Felipe, Barbara, Fabio, Franz, Miguel, Johnny, Natalia, Jacopo, Stefano, Camilla, Tirso, Tana, Jaime, Maire, Sandra, Martin, Ana, Micheal, Stephanie, Gilda, Facundo, Mariza, Cesar, Luis, Rivaldo, Miriam, Adriana, Belen,Patricio,



Josephina, Daniela, Melina, Javier, Shari, Irene, Morayma, Elizabeth, Rita, Aniseto, Marcelina, Christian, Javier, hermana Lea, Ruth, Edher, Rosmery, Samuel, Sonia, Delia, Carlos, Johnatan, Juan Carlos, Sergio, Jaqueline, Cinthia, Michael, Brisaida, Alexandra, John, Franklin, Thais, Luz Delia, Moises, Ruben, Elizabeth, Haide, Noemi, Edison, Geronimo, Rosa, Yoni, Dina, Daniela, Marilia, Vittoria, Paola, Camilla, Michele, Virginia, Andrea, Giovanna, Albarosa, Valentina, Pilar, Victoria, Adrian, Gianmarco, Alessandra, Fabrizio, Daniele, Belen, Juan Carlos, Manuel, Fernandez, Moritz....

martedì 2 marzo 2010

Huaro, Quispicanchi, Cuzco.

Michael Jordan Palomino è nato a Urcos, distretto di Quispicanchi, il nonno aggiusta biciclette, la madre taglia capelli. È curioso, Michael, ti scruta con i suoi occhi di "down", vuole capire se puoi essere un valido e divertente compagno di giochi o solo uno dei tanti. Sperimenta la tua confidenza piano piano, ti prende per mano e ti trascina qua e lá, spiegando, il piú delle volte domandando con l'irruenza dei 12 anni. Capisci che ha preso confidenza quando sale sullo scivolo e invece di lasciarsi scivolare, spicca un salto verso di te, e tu non puoi fare altro che afferrarlo, cadere insieme a lui nell'erba e lasciarti contagiare dalla sua viva risata.
Quando arriviamo a casa di Rossimery, la troviamo accuciata in un angolo del suo cortile mentre con le dita spulcia piccoli sassolini nel fango. Rossimery Quispe Luz è contenta quando ci nota e lo dimostra a modo suo: salta, corrichia, emette qualche verso e gemito, raccoglie con la bocca dell'acqua stagnante e la nebulizza nell'aria circostante. Danza l'autistica Rossimery. I suoi movimenti sono armonici, quasi eleganti, sicuramente coreografici, nonostante il fine apparentemente insensato. Non si lascia sfiorare, tantomeno visitare. Possiamo solo ammirare la sua poesia nascosta.
Sergio Quispe Ventura è un ragazzone di 13 anni, alto 170 centimetri (un'enormità per la sua età in Perù), con la faccia larga, il mento allungato e due mani a badile. Non appena varchiamo il cancello della scuola carichi dei nostri zaini-casa, è il primo bambino che ci viene incontro; o meglio, che ci salta addosso. Gli occhi spalancati, quasi stralunati, un sorriso che evidenzia la bocca mastodontica e una forza per nulla controllata che ci scuote. È chiaro che l'obbiettivo sono i nostri zaini. Veniamo psicologicamente soccorsi da Rubèn, tuttofare della scuola che ci spiega la voglia di Sergio di aiutarci nel trasporto del nostro fardello. È lui il padrone incontrastato dei lavori pesanti. Sergio ha poca intelligenza ma una forza mastodontica, e ha imparato ha comunicare con quella. In maniera molto più traumatica l'abbiamo imparato anche noi e riusciamo a stupirci pensando a quanti modi di comunicare esistono. Ruth ha 13 anni, la pelle ambrata, i lineamenti morbidi e due lunghe trecce. Vive su una sedia a rotelle per via di una paralisi cerebrale spastica. Non può articolare parole nè masticare ma per sua fortuna può deglutire. La magia di Ruth sta nella forza espressiva dei suoi grandi occhi neri. Anche lei ha imparato a comunicare con i pochi mezzi che ha a disposizione e lo fa con sorprendente ricchezza. Per quanto ci riguarda siamo ancora increduli, oltre che pieni di dolcezza, ricordando il lungo tempo passato a giocare e dialogare con lei.

I risultati di questa scuola sono encomiabili. Il lavoro assiduo e meticoloso, eseguito ad hoc per ogni bambino ha permesso di conseguire risultati strabilianti, anche per i nostri occhi abituati a terapie d'avanguardia. Nella stessa scuola-comunità convivono "down", autistici, sordomuti e bambini con ritardo mentale più o meno grave dovuto per lo più a problemi occorsi nel parto e aggravati da abbandono e violazioni. Senza entrare nei dettagli tecnici ma vederli aiutarsi a vicenda nel vestirsi e nel lavarsi, o osservare il loro modo di comunicare e di intendersi vicendevolmente ci ha lasciato stupiti quanto emozionati. Concludendo ci viene da pensare questo: forse la differenza tra l'associazione Magia delle Ande e della sua scuola di Huaro rispetto ad altre sta nel fatto che la gente che ci lavora lo fa per Ruth, Michael, Sergio e Rossimery. Non lo fa nè per il "prossimo" nè per la propria fede.

lunedì 18 gennaio 2010

Autarchia

Il leggendario lago Titikaka si ubica a 3800 metri d'altitudine e farci il bagno é stato un atto eroico di cui andremo fieri ad oltranza. Leggenda vuole che per volontá del dio Inti Viracocha, dalle sue acque siano nati i capostipiti della stirpe reale degli Inca, Manco Capac e Mama Ocllo.


Nel mezzo della sua placida maestositá sorge l'isola vulcanica di Taquile, perla antropologica. Ci vivono circa 2500 persone di lingua quechua in un regime di piena autarchia. Nulla, o quasi, é cambiato dal periodo precolombino. Intatti e ancora coltivati sono rimasti i terrazzamenti lungo le quattro pendici dell'isola, cosí come i sentieri di pietra costruiti piú di mille anni fa costituiscono la unica rete di comunicazione. Non ci sono auto, ovviamente, ma neanche cani, cavalli e ruote.

La comunitá é divisa in sei territori, ognuno dei quali riunisce diverse famiglie. Gli abitanti di ogni territorio eleggono annualmente e per alzata di mano un presidente, mentre l'alcalde mayor é eletto a suffragio ogni cinque anni. Solo le autoritá indossano un capello di alpaca; per il resto non ci sono differenze sociali e tutti vestono gli stessi abiti.
Non c'é polizia.
Il raccolto di ogni famiglia (patate, quinoa, fave, mais) viene accumulato e ripartito equamente tra tutto il popolo, cosí come i prodotti ittici. L'uccisione di una pecora, unico animale presente sull'isola, é una decisione collettiva.
Accanto alla sussistenza alimentare, vivono della vendita dei loro prodotti tessili, assolutamente unici, che espongono in un centro collettivo e i cui proventi vengono suddivisi tra le famiglie.

Per questo si sono aperti al turismo e ogni giorno sbarcano sull'isola un centinaio di vacanzieri a caccia del souvenir e della fotografia autentica. Due ore e mezzo per visitare l'isola. Lo stesso tempo che ci vuole per visitare lo zoo di Buenos Aires.
Ma sembra comunque che il turismo non abbia intaccato ancora l'autenticitá dell'isola. Sembra.

Decidiamo di fermarci tre giorni, due notti, con la sempre viva illusione (e speranza) di essere meno turisti e piú viaggiatori.


Dormiamo a casa della famiglia di Luis mentre mangiamo da Maria, moglie di Cesar. Siamo accolti nella loro vita, assaggiamo i loro sapori, condividiamo la loro quotidianitá fatta di lavoro e sorrisi. Assaporiamo il silenzio, respiriamo le Ande che circondano il Titikaka, la storia, la leggenda, un'isola fuori dal tempo, ancora una volta.

Il pugno allo stomaco ce lo sferra Cesar. Ci dice che i prodotti tessili che vendono nella cooperativa hanno prezzi fissi perché sono lavorati da tutta la comunitá. Lui, invece, ci propone i suoi prodotti con un piccolo sconto.
La conquista. Il tradimento per un pugno di dollari. Non ne avevamo giá parlato?

venerdì 8 gennaio 2010

L'odore della Bolivia

La Paz è la città delle cholitas con le loro gonfie gonne colorate e le loro bombette.
La Paz è la città dei bambini per strada che suonano un charango completamente scordato.
La Paz è la città dei borrachos che vagano per le vie senza una meta nel loro fragile equilibrio.
La Paz è la città dei cimiteri degli elefanti,
dove gli alcolisti decidono di suicidarsi bevendo fino all'ultima lacrima di chicha.
La Paz è la città di Oscar Martinez, sincero amico e profondo pensatore.
La Paz è la città dei minibus in cui donne vendono ai passanti destinazioni gridate.
La Paz è la città degli odori larghi e avvolgenti,
frutta dolce, verdura marcia, cotenna di maiale fritta.
La Paz è la città dei visi malinconici e tristi.
La Paz è la città in cui la via è mercato e il mercato è la via.
La Paz è la città dalla quale si sfugge esalando colla.
La Paz è la città-capitale più alta del mondo.
La Paz è la città dai bassifondi che dominano dall'alto i quartieri nobili.

La Paz è la città dove l'impossibile diventa possibile.



Vogliamo ribadire come viaggiare in paesi lontani permetta di comprendere il vero e profondo significato delle parole. Ci riferiamo in questo caso alla parola "precario", non nella sua forma sostantivata, molto usata in Italia, bensì nella sua accezione di aggettivo qualificativo.
È il 2003 in Bolivia. Il presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, che parla spagnolo con un forte accento americano, approva una nuova imposta su stipendi statali sopra un certo limite. I poliziotti ne sono coinvolti. L'istituzione "polizia" sciopera a tempo indeterminato.
Helter Skelter.
La voce si diffonde come un'onda sismica e la popolazione più povera, perenne schiava del sistema, si riunisce di fronte ai posti di potere e inizia un attacco con slogan e pietre. Scende in piazza l'esercito, ultimo baluardo di criminali al servizio del più forte.
È a questo punto che l'inimmaginabile salta l'immaginazione per concretarsi direttamente nella realtà.
Molti poliziotti scendono in piazza accanto al popolo. In Plaza Murillo è guerra. Barricate e armi da fuoco. Nel resto della città guerriglia. Per tre giorni La Paz è in stato d'assedio.
È il presidente "gringo" che pone fine alla mattanza e alla legge.
La polizia grida vittoria e cambia alleato.
Il popolo torna alla sua schiavitù in attesa di un'altra occasione.

Muro crivellato di colpi in Plaza Murillo


L'escursione costa 180 dollari. Quattro giorni attraverso il Sud-Est della Bolivia e lo spettacolare Salar de Uyuni per un totale di 1200 chilometri. Colazione, pranzo, cena e pernottamento in tre differenti rifugi.
Alla frontiera boliviana ci accoglie Francisco, un ragazzotto di 21 anni dall'aspetto decisamente più adulto. Guiderà la jeep 4x4 per l'intera durata dell'escursione. Autista, guida e persino cuoco.
Francisco guadagna 1200 boliviani al mese, vale a dire 160 dollari. Ha un giorno di pausa alla settimana, ma non essendo sotto contratto, il riposo diventa aleatorio.
Gli chiediamo dettagli.
Ci racconta che il 50% netto del prezzo da noi pagato va all'agenzia, proprietaria della macchina. L'altro 50% (90 dollari) è per i pasti (molti e sostanziosi), le tre notti, la benzina e l'ingresso ai tre parchi naturali, oltre alla tassa per il timbro di frontiera. Ciò che rimane al chofer Francisco, forza lavoro boliviana, tra le più economiche sul mercato.
Il vero pugno allo stomaco arriva quando aggiunge che il proprietario è un boliviano.


L'incredibile sconfinata piattezza del Salar di Uyuni, la più grande meraviglia naturale che finora abbiamo visto, ci permette considerazioni altrettanto fredde e ineluttabili su questo continente così maledettamente umano.
La conquista non è stata solo quella materiale e carnale perpetrata dagli spagnoli per più di due secoli; la conquista è stata anche e soprattutto economica. Il modello occidentale ha conquistato l'America Latina, quel modello indissolubilmente legato al capitale e al tradimento.
Il tradimento che Francisco subisce quotidianamente.
Il tradimento per un pugno di dollari, la più grande schiavitù dell'America di oggi.



giovedì 24 dicembre 2009

Rapa Nui

Il salto é stato lungo, questa volta. Forse troppo. Quattromila chilometri in linea retta di Oceano (ACQUA) per indovinare l'atterraggio sull'unica casualitá rocciosa e abitata nel raggio di altrettanti chilometri. Rapa Nui.



Casualitá : non puó essere altrimenti questo ombelico di terra emerso in un punto chiaramente sbagliato. Lo stesso azzardo che ha naufragato qui una stirpe reale con sudditi piante e polli al seguito.
Le megalomani statue che giganteggiano con le spalle al mare sembrano il vano e disperato tentativo di sconfiggere questa terribile possibilitá, qui cosí ovvia; di trovare una ragione, per lo meno un senso, e di trovarlo in 166 chilometri quadrati. Ma lo spazio é troppo poco e l'Oceano troppo rumoroso per poter trascurare quesiti misteriosi come la vita e profondi quanto la paura.


Solo la paura puó dare la forza di scolpire dalle montagne monoliti di pietra giganti decine di metri e centinaia di quintali. La paura e l'incredibile istinto di sopravvivenza ha permesso di trasportarli lungo le coste e di erigerli, con pietre e bastoni, come potenti protettori, disperata risposta umana all'ignoto. Nel concetto, in realtá, nulla di nuovo rispetto al resto del mondo. Resta peró il fascino di un posto cosí unico, selvaggio e squisitamente umano.



Ció che peró conosciamo della storia di questa terra é ben poco, per il fatto che una volta esauriti gli spazi in America, i
figli creoli dei conquistadores hanno rivolto l'attenzione verso la Polinesia. Il massacro é stato rapido e le umiliazioni sono proseguite ufficialmente fino al 1960, anno in cui Rapa Nui ha smesso di essere il cortile dell'esercito cileno e i suoi abitanti (circa 400 sopravvissuti) sono diventati cittadini a pieno titolo.

Ma ribadiamo che il salto é troppo lungo, porta d'ingresso all'Oceania, altro popolo, altra profonda e fascinosa cultura, altri massacri. Se non proprio un'altra storia, sicuramente un'altra dimensione. E in tutta sinceritá la materia é troppa, preferiamo rimanere con la testa tra le Ande e lasciarci schiacciare col cuore da questi giganteschi
moai. E la sera, imprigionati dalla pioggia tropicale e continua, giochiamo a dadi, rendendoci un'altra volta conto che, tira che tira, prima o poi uno Yatzé uscirá.





venerdì 11 dicembre 2009

Chile, Chili, Chiloè

Dare forma al contenuto, compito non sempre semplice. Ma anche dare contenuto alla forma, può molte volte costituire un serio problema. Ci troviamo di fronte a questa duplice questione qui in Cile. Paese dalla forma assurda e dal contenuto indecifrabile. Anche se da un punto si deve pur partire, estetico o informativo che sia.


I cileni sono un popolo castigato. Visi sobri e puliti, sguardi lontani, voce bassa e sommessa. Pervasi da un'umiltà disciplinata non sembrano capaci di creative effusioni, nonostante la loro ospitalità quasi riconoscente. I sedici anni di dittatura militare, la presenza di Pinochet come capo supremo delle forze armate che si protrae fino al 1997 e un processo di democratizzazione reso ancora oggi difficile da una costituzione militaresca, ne sembrano la causa. Chiaro che un presidente come Allende e un ambasciatore in Europa come Neruda, a cavallo tra gli anni '60 e '70, costituivano un pericolo non indifferente per la stabilità dell'impero nordamericano. Nitide come la pece risuonano ancora oggi le parole di Kissinger, l'allora sottosegretario di stato alla presidenza Nixon ("Non vedo perchè dovremmo stare con le mani in mano davanti allo spettacolo di un paese che sta diventando comunista a causa dell'irresponsabilità del suo popolo"). Aggiungiamoci quindi l'isolamento geografico e capiamo perchè i cileni appaiono oggi come forme di se stessi.


Ma i giovani, ecco il contrappasso dantesco. Orde adolescenziali, musicisti e poeti che riempiono bar e spazi pubblici, intellettuali e loro emulatori che analizzano birre e problemi, schegge impazzite che macchiano di personalità strade e quartieri. È la prima generazione completamente libera, figlia di una generazione di prigionieri, con la quale sembra esistere il tacito accordo di vietare il divieto, un mondo a disposizione.
Tutto ovvio, forse, il contenuto, se non fosse che in questo paese esiste solo il Nord e il Sud mentre il sole tramonta in Cina.



(per rendere più comprensibile questa parte, ricordiamo che nell'alfabeto spagnolo le seguenti lettere si pronunciano così : ch = ci, ll = gl, que = che, qui = chi)

Per arrivare all'Isola di Chiloè dovrete attraversare il canale di Chacao approdando nell'omonima cittadina, Chacao. Il colectivo procederà poi verso est, passando per Caulìn e Ancud.
Scenderete quindi a sud, tralasciando Quetalmahue e Pumillahue che si affacciano sul Pacifico. Dopo le misteriose Manao, Linao e Lliuco arriverete finalmente a Quemchi, da cui si può ammirare l'isola Caucahuè. Procedendo ancora a sud toccherete l'inutile Tenaùn che però vi aprirà le porte della graziosa Dalcahue. Da qui, grazie ad un ponte, potrete scorrazzare quasi liberamente sull'Isla Quinchao, del gruppo Chaulinec, e visitare il capoluogo Achao. Ma non vorrete di certo fermarvi qui, e quindi con un altro colectivo vi dirigerete all'eterna Chonchi. A questo punto, invece di andare sull'isola Puqueidòn, girerete verso est, dove potrete godere delle fresche acque dei laghi Hullinico e Cucao. Per completare la visita, e lo scioglilingua, vi consigliamo di toccare l'estremo sud dell'isola e ammirare le due cittadine Queilèn e Quellòn. Per i più impavidi, l'Isla Latec e Punta Yatac, da cui potrete prendere una nave per Chacabuco o Chaitèn.

Un'ultima avvertenza : evitate di avvicinarvi alla laguna Chaiguata o alla Caleta Quiutil. Sembra siano state avvistate anime perdute di turisti dislessici.

domenica 6 dicembre 2009

Non si può comprendere l'America prescindendo dal suo lato mistico e magico

La Negra non sopporta avere le unghie delle mani più lunghe di qualche millimetro. Ogni giorno davanti al fuoco, dedica mezz'ora del suo tempo a limarle con un pezzo di carta vetro e a pulire la sabbia mista a silice che le si accumula nei sottili spazi lasciati dalla pelle.
La Negra ha sette figli, cinque suoi e due non suoi. Di ognuno ne conosce la storia, le emozioni e la forma delle cicatrici che la vita gli ha lasciato.


Il cielo è terso, lo si può notare perfino attraverso i vetri sudici incastrati nel muro di fango che ripara la sua stanza. Fa freddo, ma c'è ancora luce e i duende, folletti maliziosi, sono ancora lontani.
La Negra passa gran parte della giornata nel suo letto, con la schiena appoggiata al muro e le mani indaffarate a tessere e decorare rettangoli di stoffa. La sua mente lontana corre alla velocità con cui le sue dita maneggiano filo e ago mentre il suo cuore di madre soffre, gonfio di magia, per i figli lontani.


Talvolta qualche parola, sprazzi di discorsi, la raggiungono, Penelope eterna, trascinandola nella realtà. Allora si alza, si avvicina al fuoco, scalda un mate di erbe contadine e si accorge che fuori è già buio. Per questo prepara i suoi sensi ad allontanare i duende malvagi che si avvicinano alla casa. Alely, cagnetta nera, l'aiuterà in questo compito, fedele come ogni notte.
La Negra non crede alla magia, ma può curarti il male con un filo di iuta. Non conosce Baudelaire nè Rimbaud ma ne custodisce l'ardore. Porta sei anelli per mano di un argento un po' opaco come il colore dei suoi occhi mentre la pelle bronzea sembra scolpita dal fumo che aspira quasi costantemente.
Quindi torna nel letto, i sensi più rotondi e lei più distante, mentre si insinua nella difficile comunicazione con i duende là fuori. Nessuno sa se dorme, sogna o veglia.
Oh Negra, oh cuore americano !



Angel ha le unghie della mani lunghe e sporche. Anche il resto del corpo non sembra pulito sebbene sia coperto da un largo e maestoso poncho celeste-argentino. Compare dal nulla, macchia azzurra nel buio verde-marrone del giardino dove alloggiamo. Trascina una grossa sacca piena di fieno, cena per il suo fiero cavallo che vive nello stesso cortile.

Angel ha una barba grigia e incolta, ricettacolo di chissà quali spezie, che circonda labbra tumide e violacee. Le stesse che si avvicinano all'orecchio del cavallo e che iniziano a bisbigliare forse parole. Serrano, questo il nome dell'animale, nitrisce e risponde, in un vero e proprio dialogo allucinatorio. Quando l'attenzione del cavallo è catturata interamente dal cibo, quella di Angel si rivolge a noi.

Si presenta con un inchino e con un movimento altrettanto elegante fa emergere dalle infinite pieghe del poncho un tamburello senza sonagli. Con la medesima eleganza compare anche una bottiglietta di vetro scuro e liscio, da cui tracanna due ardenti sorsate. Una pozione magica, a suo dire, "Para enfocar el sentimiento". E a questo punto, accompagnandosi con un ritmo crudo e potente, inizia a cantarci la sua storia.

Perso l'amore, perso il figlio, trova il cavallo e un carro di legno che copre e dipinge. Inizia quindi il viaggio per la sua terra, eterna Argentina, nove anni tra lande, genti, vino, fantasmi, racconti, folletti, montagne, pastori, lacrime e leggende. La tesa larga del suo cappello da coya vibra all'unisono con la sua voce roca, gridata e instabile.

Ed è così che conosciamo la tia Selva, col cane talmente grasso che si è ingravidato psicologicamente. Le prosperose e materne donne di Mendoza. Gli spiriti che proteggono la baia di Ushuaia. L'epopea della numerosa famiglia Lorca, 18 figli dotati delle qualità più bizzarre. E con la sua abilità di cantore, mago e illusionista troviamo noi stessi protagonisti della sua poesia, e ci guardiamo nudi e sbalorditi riflessi nelle sue parole.