domenica 6 dicembre 2009

Non si può comprendere l'America prescindendo dal suo lato mistico e magico

La Negra non sopporta avere le unghie delle mani più lunghe di qualche millimetro. Ogni giorno davanti al fuoco, dedica mezz'ora del suo tempo a limarle con un pezzo di carta vetro e a pulire la sabbia mista a silice che le si accumula nei sottili spazi lasciati dalla pelle.
La Negra ha sette figli, cinque suoi e due non suoi. Di ognuno ne conosce la storia, le emozioni e la forma delle cicatrici che la vita gli ha lasciato.


Il cielo è terso, lo si può notare perfino attraverso i vetri sudici incastrati nel muro di fango che ripara la sua stanza. Fa freddo, ma c'è ancora luce e i duende, folletti maliziosi, sono ancora lontani.
La Negra passa gran parte della giornata nel suo letto, con la schiena appoggiata al muro e le mani indaffarate a tessere e decorare rettangoli di stoffa. La sua mente lontana corre alla velocità con cui le sue dita maneggiano filo e ago mentre il suo cuore di madre soffre, gonfio di magia, per i figli lontani.


Talvolta qualche parola, sprazzi di discorsi, la raggiungono, Penelope eterna, trascinandola nella realtà. Allora si alza, si avvicina al fuoco, scalda un mate di erbe contadine e si accorge che fuori è già buio. Per questo prepara i suoi sensi ad allontanare i duende malvagi che si avvicinano alla casa. Alely, cagnetta nera, l'aiuterà in questo compito, fedele come ogni notte.
La Negra non crede alla magia, ma può curarti il male con un filo di iuta. Non conosce Baudelaire nè Rimbaud ma ne custodisce l'ardore. Porta sei anelli per mano di un argento un po' opaco come il colore dei suoi occhi mentre la pelle bronzea sembra scolpita dal fumo che aspira quasi costantemente.
Quindi torna nel letto, i sensi più rotondi e lei più distante, mentre si insinua nella difficile comunicazione con i duende là fuori. Nessuno sa se dorme, sogna o veglia.
Oh Negra, oh cuore americano !



Angel ha le unghie della mani lunghe e sporche. Anche il resto del corpo non sembra pulito sebbene sia coperto da un largo e maestoso poncho celeste-argentino. Compare dal nulla, macchia azzurra nel buio verde-marrone del giardino dove alloggiamo. Trascina una grossa sacca piena di fieno, cena per il suo fiero cavallo che vive nello stesso cortile.

Angel ha una barba grigia e incolta, ricettacolo di chissà quali spezie, che circonda labbra tumide e violacee. Le stesse che si avvicinano all'orecchio del cavallo e che iniziano a bisbigliare forse parole. Serrano, questo il nome dell'animale, nitrisce e risponde, in un vero e proprio dialogo allucinatorio. Quando l'attenzione del cavallo è catturata interamente dal cibo, quella di Angel si rivolge a noi.

Si presenta con un inchino e con un movimento altrettanto elegante fa emergere dalle infinite pieghe del poncho un tamburello senza sonagli. Con la medesima eleganza compare anche una bottiglietta di vetro scuro e liscio, da cui tracanna due ardenti sorsate. Una pozione magica, a suo dire, "Para enfocar el sentimiento". E a questo punto, accompagnandosi con un ritmo crudo e potente, inizia a cantarci la sua storia.

Perso l'amore, perso il figlio, trova il cavallo e un carro di legno che copre e dipinge. Inizia quindi il viaggio per la sua terra, eterna Argentina, nove anni tra lande, genti, vino, fantasmi, racconti, folletti, montagne, pastori, lacrime e leggende. La tesa larga del suo cappello da coya vibra all'unisono con la sua voce roca, gridata e instabile.

Ed è così che conosciamo la tia Selva, col cane talmente grasso che si è ingravidato psicologicamente. Le prosperose e materne donne di Mendoza. Gli spiriti che proteggono la baia di Ushuaia. L'epopea della numerosa famiglia Lorca, 18 figli dotati delle qualità più bizzarre. E con la sua abilità di cantore, mago e illusionista troviamo noi stessi protagonisti della sua poesia, e ci guardiamo nudi e sbalorditi riflessi nelle sue parole.






3 commenti:

  1. terre lontane, terre ricche di miti e di leggende, terre di uomini con i loro mantelli di storia. Grazie a voi siamo ricchi di magia sudamericana. Vi aspetto per i racconti come sempre con un bicchiere di vino e un'animo delicato...

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  2. Leprotto era un ragazzo di 15 anni, rattrappito, piccoletto, magro, con la faccia di cavalletta, la pelle attaccata agli ossi, gli occhi infossati. Era tutto rigido, come di legno,ma sapeva indemoniarsi col corpo come nessun altro, nel fervore del ballo. Si svincolava nello spazio dell'aria,batteva addirittura le mascelle, respirava in modo curioso, non vedeva, non parlava e non faceva nient'altro. Solo ballava. Non rideva, non si prendeva riposo, non mollava di un passo. Quel Leprotto perturbava gli occhi, tutto serio si scartocciava rigido, da un piede all'altro, leggero come tronco d'imbarè, svuotato della linfa. Ballava come urubù-tinga e come fa la garrixa, ballava la danza della coda del giaguaro e il violino di Ciccio mandava nitriti.......è una serenità solitaria, una pulizia della mente, un consiglio senza parole, un dubbio che rimane, e tutto intorno un oceano.....

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  3. un viaggio...sempre occasione d'incontri unici, irripetibili, straordinari..che con il vostro profondo vedere dentro le cose, dentro le persone, senza accelerazioni, senza costrizioni che frenano...rendono magici i vostri racconti....Grazie per i colori e le senzazioni che ci state regalando..

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