giovedì 24 dicembre 2009

Rapa Nui

Il salto é stato lungo, questa volta. Forse troppo. Quattromila chilometri in linea retta di Oceano (ACQUA) per indovinare l'atterraggio sull'unica casualitá rocciosa e abitata nel raggio di altrettanti chilometri. Rapa Nui.



Casualitá : non puó essere altrimenti questo ombelico di terra emerso in un punto chiaramente sbagliato. Lo stesso azzardo che ha naufragato qui una stirpe reale con sudditi piante e polli al seguito.
Le megalomani statue che giganteggiano con le spalle al mare sembrano il vano e disperato tentativo di sconfiggere questa terribile possibilitá, qui cosí ovvia; di trovare una ragione, per lo meno un senso, e di trovarlo in 166 chilometri quadrati. Ma lo spazio é troppo poco e l'Oceano troppo rumoroso per poter trascurare quesiti misteriosi come la vita e profondi quanto la paura.


Solo la paura puó dare la forza di scolpire dalle montagne monoliti di pietra giganti decine di metri e centinaia di quintali. La paura e l'incredibile istinto di sopravvivenza ha permesso di trasportarli lungo le coste e di erigerli, con pietre e bastoni, come potenti protettori, disperata risposta umana all'ignoto. Nel concetto, in realtá, nulla di nuovo rispetto al resto del mondo. Resta peró il fascino di un posto cosí unico, selvaggio e squisitamente umano.



Ció che peró conosciamo della storia di questa terra é ben poco, per il fatto che una volta esauriti gli spazi in America, i
figli creoli dei conquistadores hanno rivolto l'attenzione verso la Polinesia. Il massacro é stato rapido e le umiliazioni sono proseguite ufficialmente fino al 1960, anno in cui Rapa Nui ha smesso di essere il cortile dell'esercito cileno e i suoi abitanti (circa 400 sopravvissuti) sono diventati cittadini a pieno titolo.

Ma ribadiamo che il salto é troppo lungo, porta d'ingresso all'Oceania, altro popolo, altra profonda e fascinosa cultura, altri massacri. Se non proprio un'altra storia, sicuramente un'altra dimensione. E in tutta sinceritá la materia é troppa, preferiamo rimanere con la testa tra le Ande e lasciarci schiacciare col cuore da questi giganteschi
moai. E la sera, imprigionati dalla pioggia tropicale e continua, giochiamo a dadi, rendendoci un'altra volta conto che, tira che tira, prima o poi uno Yatzé uscirá.





3 commenti:

  1. immagino che visitare un posto così ti lascia dentro un'emozione indelebile, un posto così ha un fascino unico, tra gente che viene da un passato senza storia, che forse non ha mai conosciuto la guerra, così sola, dispersa, estranea come nessun popolo, un infimo mondo nel mondo e i moai che guardano il cielo severi, perplessi, nella loro millenaria immobilità, testimoni muti..

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  2. mi piace leggere i vostri pensieri di questo viaggio, invidio la vostra forza e vi auguro un felice anno nuovo...
    un abbraccio

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  3. Sembra che questi Indigeni, e fino a pochissimi fa, credessero di essere i soli sulla Terra! Che non ci fosse altro...!
    Un Neo nel bel mezzo dell'Oceano.E lontanissimi da una Inimmaginabile "Terra Ferma"
    Ma per fortuna i Pinguini non portano cravatte...

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