
La storia dell' Uruguay si fonda sulle gesta eroiche del bandito Josè Artigas. Fu il primo a capire che era meglio lavorare per se stessi piuttosto che per spagnoli o portoghesi. Di lui si narra che, in esilio in Paraguay, a capo di trentatrè valorosi uomini, distrusse l'armata portoghese in quattro fondamentali battaglie : Sarandì, Piedras, Rincon y Ituazingò. Provate a ripetere, sussurrandoli, questi nomi, e potrete avvertire i brividi dell'impresa...
Qui a Montevideo la raccolta differenziata non esiste. O perlomeno, non nel modo in cui la intendiamo noi. Per le strade si vedono, pochi, cassonetti verdi. La basura accatastata ai loro lati. Niente di particolarmente sporco. Tutto mischiato, nulla diviso.
Loro compaiono al crepuscolo. Li puoi avvertire prima di vederli per il rumore degli zoccoli dei loro cavalli sull'asfalto. Il primo slancio, forse direttamente da ricordi dell'infanzia, è quello di individuare da dove viene lo scalpiccìo così fiabesco. È in questo modo che, come una palla di cannone fredda e grigia, fanno breccia nel tuo campo visivo. Un polveroso carro di assi di legno con due grandi ruote cigolanti, circondato da grandi sacchi di plastica nera o di tela grigiastra. Pieni o mezzi vuoti di materiale "cartonoso". Il cavallo che li trascina, magro ma lucente nell'opacità del quadro, e guidato da uno, spesso due, ragazzi dall'età indefinibile. Sporchi e cenciosi, procedono al trotto passando gli incroci come visioni. Si fermano d'improvviso. Il cartonero salta stancamente dal carro, si avvicina al cassonetto e rovista nella basura. In cerca di materiale da riciclo. Carta, soprattutto, ma anche plastica. Vetro non se ne trova, troppo prezioso. Tutto ciò che trovano da reciclare viene caricato in questi grandi sacchi, via via sempre più carichi di speranza. Poca.

Un lavoro umile,troppo per le nostre latitudini. Qui stanno iniziando ad associarsi per il riconoscimento dei loro diritti di lavoratori.
Ma il primo vero incontro diretto con l'Uruguay lo facciamo con la clase media. Attraverso Ivo, un ragazzo di 59 anni romano emigrato qui a Montevideo, conosciamo due donne sulla quarantina : Silvana (padre siciliano) e Rossana (padre abruzzese). Non deve stupire l'italianità dei loro nomi, essendo la normalità in questo paese (Paola Tarallo, guida del Teatro Solìs, o Lucia Bonomi Agazzi, candidata per le prossime elezioni politiche. Tutti rigorosamente uruguagi).Quindi si mangia a Pocitos, quartiere in, si ascolta tango,si beve vino rosso...si parla.
(notare la somiglianza del suonatore di fisarmionica con Giorgino Sabaudo...)
Ed ecco affiorare, discreto come un sussurro e pesante come la storia, quello che penso si possa definire"complesso d'inferiorità".
Io parlo, e vedo annuire in automatico, persino laddove mi contraddico. Loro parlano, filo di tensione emotiva teso fra i denti. Si interrompono a qualsiasi gesto vagamente espressivo del mio viso. Ma soprattutto i loro occhi fuggono spesso. Sembrano attente a dire cose interessanti e mantengono un tono dimesso, quasi ad ogni frase.
"......... tanto sapranno com'e`,no? il mondo..... loro sono italiani, europei..avranno visto di molte cose il meglio,no?......e che gli dico?....ciò che può essere interessante per me è chiaramente obsoleto per loro............."
Questa è l'impressione : discreta come un sussurro, pesante come la storia.
(ci teniamo a sottolineare che abbiamo frequentato per più giorni Silvana e Rossana e, nella loro quotidianità, si sono rivelate persone molto gentili, raffinate e spontanee).
In attesa di incontrare il pueblo, riflettiamo su questa timida e spaurita classe media. Camminando, bevendo Mate, respirando l'Atlantico.